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Buonumore Letteratura

I promessi computer

(di A. Nunziata)

Prolog: Erano molti cicli di clock che desideravo scrivere una storia per quei $12 o $1e lettori che avranno la pazienza di seguirmi. Devo, pero’ ammettere l’ho backuppata da un romanzo di fantascienza di cui non mi ricordo il titolo: un vero romanzo di fantascienza per molti studenti italiani.

Quel ramo dell’albero binario che e’ generato da un puntatore inserito in una function ricorsiva… “Niklaus Wirth, chi era costui ?” disse l’ingegner Abbondio chiudendo annoiato il libro che stava leggendo: Algoritmi + strutture dati = programmi. Egli penso’ bene di uscire, la sua mente era annebbiata, passeggiando vide in mezzo alla sua strada quattro hacker vestiti di tutto punto, con i loro bravi dischetti di copiatori nella bisaccia. L’ingegner Abbondio fece per cambiare strada ma essi gli si pararono dinnanzi. “Server vostro, cosa vogliono da me ?”, il primo di loro parlo’: “Signor ingegnere, e’ vero che tra pochi giorni, voi dovete celebrare un link tra due computer ?”. 
“Si e’ vero” rispose loro tremante. “Allora…”, fece un altro di loro mettendo la mano sul dischetto formattatore “sappiate che questo link non s’ha da fare! Ne’ ora ne’ mai”. “Ma signori…” fece l’ingegnere, uno di loro gli tese un cavo seriale intorno al collo in segno di minaccia e poi se ne andarono. L’ingegnere Abbondio se ne torno’ impaurito al laboratorio, pensando al link che avrebbe dovuto fare tra due giorni tra due promessi computer: Personal Computer Tramaglino, o come lo chiamavan tutti PC, un tipo “calcolatore”, pieno di “programmi” per il futuro e Amiga Mondella, una giovane computer, religiosa e timorata del Diodo. Al ritorno, racconto’ tutta la storia successagli al suo collaboratore perpetual: un robot tuttofare che storia perpetual sbottò: “Oh, quelli sono brutti ceffi signor ingegnere, ma come farete con i promessi computer ?”. “Lo sai che mi volevano strangolare con un cavo seriale, facevano impressione… Per quei due cerchero’ una scusa”. L’ingegnere Abbondio aveva sempre avuto paura, in quell’epoca di violenza si sentiva come un laptop in mezzo a tanti tower. Il giorno del collegamento, i promessi computer vennero in laboratorio per il rito, tutto era pronto, anche l’organo campionato a 16 bit, ma l’ingegnere spiego’ loro adducendo le scuse piu’ strane che non se ne poteva fare nulla. Amiga scoppio’ a piangere, tutti i led le si accesero; la madre di Amiga: Agnes, o come la chiamavan tutti vista la sua mole, “fatter Agnes”, protesto’ vivacemente contro l’ingegnere ma senza risposta. “E’ lui il cattivo!” disse Amiga indicando l’enorme grattacielo del signorotto, “e’ Don Bill Rodrigates che non ci vuole far linkare, egli mi catturo’ nella sua net dicendo che aveva tanti programmi per me, ma mentiva. “La vedremo” disse PC arrabbiato “andro’ a far valere i nostri diritti”. Quel giorno stesso, PC si avvio’ verso lo studio del celebre avvocato Azzeccabug portandogli in dono 2 K(oni) di RAM, freschi freschi. L’avvocato Azzeccabug, li accetto’ e si mise subito a scartabellare nella montagna di CD-ROM polverosi che teneva tutti ammucchiati “Vede ?” disse “qui ho la raccolta di tutti i codici di questo stato, mai emessi: qui ho un codice in Pascal, qui un codice in Basic, qui un codice in Cobol…”. Ecco, ecco ho trovato” fece trionfante e si mise a leggere schiarendosi la voce “Writeln(‘Per ordine di S.E. il Gran Sysop di Milano, come recita l’articolo impedire in alcun modo un link’)”. Poi si mise a parlare difficile come molti avvocati “E’ semplice vede: si tratta di un dram che impedisce la cache a Ows, che poi un controller mfm, ide…”. A PC che non era molto intelligente (aveva solo 512K di memoria), gli parve arabo, ma quando l’avvocato gli chiese chi era l’ interessato, gli rispose subito che si trattava di Don Rodrigates; all’udire quel nome Azzeccabug cambio’ volto e lo caccio’ senza spiegazioni “Fuori, fuori giovanotto se non volete dei guai!”. Intanto Amiga e Fat Agnes erano andate al convento a chiedere aiuto al buon Fra Crtistofortran. In quel convento, i frati di quell’ordine vestivano tutti con delle tonache coperte da dei particolari disegni geometrici tutti colorati che erano tutti simili tra loro, per questo la gente li chiamava i frat-tali (e quali). Fra Cristofortran era un buon frate, convertitosi dopo che per vendetta aveva formattato un programma che non gli aveva consentito l’accesso alla cpu. 
“Aspettate un while do che eseguo un gosub e vengo” disse vedendo le due; dopo che Fat Agnes gli ebbe raccontato la storia si raccolse e disse: “Ancora quel perfido Don Rodrigates… Egli sprotegge i programmi piu’ deboli e aiuta quelli piu’ forti, cosi’ si e’ fatto ricco! Non temete comunque, il Divino Algoritmo, che tutto vede ed organizza, rimettera’ le cose a posto: intanto dobbiamo pregare San Pascal”. Immediatamente, Fra Cristofortran ando’ a parlare con Don Rodrigates, egli era a cena all’ ultimo piano del suo grattacielo, circondato da hacker, potenti Sysop, e c’era anche l’avvocato Azzeccabug tra gli altri. “Lascia stare Amiga, perfido…” invei’ il dico io! E tu non potrai farci niente, ed ora cacciatelo via”. “Non l’avrai vinta” gli rispose Fra Cristofortran, “per vincere dovrai fare almeno 10.000 punti e comunque vada, il Divino Algoritmo ti punira’”. “Porco DOS!” bestemmio’ Don Rodrigates. “Presto, scappate” disse il frat-tale a PC ed Amiga che lo avevano aspettato in convento, “qui non siete al sicuro, dovete andarvene in un altra locazione”. Cosi’ i due in gran segreto presero il primo vettore che trovarono e fuggirono. Mentre lasciavano il loro luogo natio, Amiga pianse e disse “Addio Mount List che generate il workbench, come faro’ mai senza di voi…”. Amiga si ritrovo’ cosi’ al convento della Macintosh di Monza a cui era venuta a chiedere una protezione. La “signora Mac”, come tutti la chiamavano era una macintosh LC di gran classe, la sua GUI era ancora molto bella, seppure non piu’ giovane. Ella era pero’ sempre triste, perché avrebbe voluto passare una vita felice a fare videogame, mentre era stata costretta dalla sua famiglia a vivere per sempre li, a segnare in noiose tabelle i tempi in pista delle macchine. Amiga busso’ alla Macintosh di Monza che le apri’ una finestra “Server vostra signora, baciamo i mouse”, disse reverente, “sono venuta a chiedervi protezione”, le sussurro’ nel microfono. 
“Va bene!” disse la Signora, “potrai entrare nel mio finder, allora”. Mentre nel convento di Monza ferveva l’attività delle macintosh diretta dall’anziana Badesserver, PC era giunto a Milano. Appena, fu entrato dalla porta parallela, dopo aver dato la password al guardiano, noto’ che un po’ dappertutto erano sparsi a terra dischetti e manuali. “Questi me li mangerò dopo” fece, qui a Milano”, penso’. La realta’ invece, all’insaputa di PC era un’altra: in quel momento a Milano, c’ era la rivolta degli utenti finali che protestavano per i prezzi troppo alti del software: orde di gente assalivano tutte le software house, uccidendo i responsabili marketing che tentavano debolmente una difesa e depredando tutti i dischetti che riuscivano a prendere. Percio’ sua eccellenza il Gran Sysop di Milano ed il consiglio del mainframe (i nobili del luogo), decisero di ordinare ai controller di sparare contro la gente, e misero a capo della repressione il generale CPU, uno abituato a dare ordini… PC che era povero (era un semplice clone non un computer dal nome altisonante), si schiero’ con la gente improvvisando un comizio: “Non e’ giusto che ci siano questi prezzi” disse alzando il tono dello speaker, ma gia’ tre controller che lo stavano osservando presero ad inseguirlo, volevano arrestarlo, cioe’ spegnerlo per almeno tre mesi come era prescritto per i rivoltosi. PC fuggi’ a 1200 baud, piu’ veloce che pote’, cosi’ riusci’ finalmente a seminarli. Ma siccome era ricercato, fu costretto a rifugiarsi nella filanda di suo cugino: una filanda di LAN. Intanto al convento, la macintosh di Monza si era incontrata segretamente, come faceva da tempo, con il suo amante: un certo Egidio Jobs, uno strano giovane che amava vivere e lavorare nelle cantine. “Mi devi aiutare Mac!” le disse lui “Un mio amico mi ha chiesto di rapire una giovane computeressa chiamata Amiga che sta con te”. “Oh, non e’ possibile”, le fece lei agitando i mouse “ella e’ sotto la mia protezione, le ho dato una chiave hardware”; “Ma pensa” le disse Jobs suadente di qui per andare a vivere in una casa con tanti alberi di mele, proprio come la vuoi tu!”, “E va bene, la allontanerò con una scusa”. L’indomani mattina la Macintosh chiamo’ Amiga, “Vammi a prendere un dischetto puliscitestine per favore, ecco i crediti”, ella ubbidi’, ma appena fu uscita, quattro hackers la presero e la rapirono, Amiga gridò, anche in stereofonia, ma nessuno la senti’, dopodiché’ svenne (si mise in standby). Al risveglio, si ritrovo’ in un luogo molto scuro, molto tetris: era circondata da tutti i lati da una fitta schiera di mattoni colorati incastrati tra loro. Era stata rapita dal malvagio programma Noname.pas, un programma dalla grande intelligenza (artificiale), temuto e rispettato da tutti. Egli, insieme ai suoi hackers compiva scorribande in tutti i sistemi, formattando tutti i programmi che gli intralciavano il cammino. Amiga fu fatta entrare nella stanza di Noname, dove egli stava accarezzando il suo fido Kahn. “Ah cosi’ tu sei Amiga! Don Rodrigates mi ha chiesto di rapirti ed in cambio mi dara’ molto software, cosi’ tu rimarrai qui finche’ non arrivera’”. Amiga si fece scura in monitor, aveva paura, poi timidamente gli disse: “Vi prego liberatemi signore; il Divino Algoritmo, perdona molte cose, preghero’ il Diodo perche’ vi salvi”, “Ha, ha non credo a queste cose io! Sono un programma logico, ed ora portetatela via”. Ma quella notte Noname non la passo’ affatto tranquilla, ed intanto Amiga chiusa nella sua cella (di memoria), pregava: “Ti prego Divino Algoritmo, fammi uscire da questo bug!, San Pascal aiutami! Prometto che non mi faro’ mai piu’ toccare da un altro computer, mi mettero’ la password di un discorso: “Dopo una lunga riflessione di 35ms, mi sono convinto che e’ necessario cambiare directory di vita, io mi sono convertito e cosi’ ora voi siete liberi, spero che diventiate bravi, dedicandovi solo a fare programmi public domain. Cosi’ Noname che si era convertito, chiamo’ a se’ un grande personaggio: il Cardinale Peter Norton. Il cardinale Norton, appena lo vide lo strinse a se’ dicendogli: “Finalmente un altro programma smarrito che ritorna all’ovile! Sapesse nella mia vita quanti programmi che sembravano definitivamente perduti sono riuscito a recuperare e porre nella giusta directory… Intanto questa Amiga verrà sotto la mia protezione”. Subito dopo, il cardinale Norton, sentita la storia di Amiga, fece chiamare l’ing. Abbondio e gli fece un severo monitor. “Ma, ma signore, essi mi avevano minacciato di formattazione, io sono solo un semplice processore, mica posso prendermi tanti Risc!” fece l’ ingegnere. “Non ci sono scuse!”, esclamo’ il cardinal Norton, “essere ingegneri e’ una missione! Voi dovete sempre servire il Diodo, perciò, dovevate linkare quei %10 computer” (il cardinale, essendo anziano parlava ancora in binario). Nel while a Milano era scoppiata un’enorme epidemia di Jerusalem e di Cascade: tanti computer ne furono colpiti e molti di essi giacevano abbandonati per le strade, dove giravano indisturbati mouse di fogna e chat randagi, c’era insomma il piu’ completo caos. Intanto per le strade giravano a raccogliere i case accasciati dei computer infettati, coloro che erano scampati ai virus, i quali per coincidenza erano tutti degli AT compatibili con video monocromatico, per questo venivano chiamati i monAT. Li’ computer-figlio, dette piangendo alcuni crediti ai monAT e disse: “Ci sono dei crediti in piu’, domani passate a prendere anche me!”. Intanto, Don Rodrigates era a Milano e guardava la citta’ dall’alto delle windows del suo ufficio e rideva: “Ha, ha, tutto questo l’ho fatto io! Cosi’ vend r di piu’ il mi stware ant vir s…, ma cos st succdend, sto perd nd le ltter di ciò ch dic!” eguardandosi bene, si vide due trackball sotto le (a)shell: aveva tutti i sintomi del virus! “Presto bit…”, chiamo’ un suo hacker fidato “chiam il signr Mcafee, egli s prà com cur rm”. “Si'” rispose bit (egli sapeva dire solo si’ o no), ma subito dopo venne con tre monAT che lo portarono via “Maled t , mi ha trdit” urlo’ Don Rodrigates. “Si, si” gli rispose bit aprendo la sua cassaforte dalla quale prelevo’ crediti e software di valore. PC, era tornato a Milano, dopo aver saputo che Amiga era li’, la cerco’ in ogni locazione, senza trovarla; poco dopo, arrivo’ al lazzaretto della facoltà di ingegneria, dove si curavano i computer infetti, li’ con grande meraviglia quale pero’ non aveva visto Amiga. “Ah, se incontrassi quel malvagio di Rodrigates, lo formatterei!”. “Non devi parlare cosi’,” lo ammoni’ il frattale, “la vendetta non e’ bella, egli e’ qui ed e’ malato” e gli mostro’ Don Rodrigates in fin di vita, il quale appena vide PC imploro’ di perdonarlo per il male che aveva fatto ed egli lo perdono’: “Pregherò per voi, solo il Diodo può condannare”, disse. Ma ecco che in un file di computer guariti che stavano pregando vide finalmente Amiga. “Amore mio ti ho ritrovato!”, le disse PC correndole incontro, ma ella dopo l’iniziale felicita’ si giro’ e fu situazione di pericolo di non linkarsi più con nessuno, ma fra Cristofortran la libero’ dal voto: “Sappi che non si può separare ciò di cui il Divino Algoritmo ha fatto il merge”. Finalmente, il frattale inserì il cavo coassiale tra PC ed Amiga e lancio’ il programma: “Ora sarete unix per sempre, in ethernet!”. E in quello stesso istante parti’ improvvisamente lo Scan che libero’ tutti i computer dal virus.

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Letteratura Tesoro

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

— attribuita erroneamente a Bertolt Brecht, in realtà del pastore Martin Niemöller (1892-1984)

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Letteratura Tesoro

Riflessioni sulla vita – di George Carlin

Il paradosso del nostro tempo nella storia è che abbiamo edifici sempre più alti, ma moralità più basse, autostrade sempre più larghe, ma orizzonti più ristretti.
Spendiamo di più, ma abbiamo meno, comperiamo di più, ma godiamo meno.
Abbiamo case più grandi e famiglie più piccole, più comodità, ma meno tempo.
Abbiamo più istruzione, ma meno buon senso, più conoscenza, ma meno giudizio, più esperti, e ancor più problemi, più medicine, ma meno benessere.
Beviamo troppo, fumiamo troppo, spendiamo senza ritegno, ridiamo troppo poco, guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo troppo, facciamo le ore piccole, ci alziamo stanchi, vediamo troppa TV, e preghiamo di rado.

Abbiamo moltiplicato le nostre proprietà, ma ridotto i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo troppo spesso.
Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, ma non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
Siamo andati e tornati dalla Luna, ma non riusciamo ad attraversare la strada per incontrare un nuovo vicino di casa.
Abbiamo conquistato lo spazio esterno, ma non lo spazio interno.
Abbiamo creato cose più grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l’aria, ma inquinato l’anima.
Abbiamo dominato l’atomo, ma non i pregiudizi.

Scriviamo di più, ma impariamo meno.
Pianifichiamo di più, ma realizziamo meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, ma non ad aspettare.
Costruiamo computers più grandi per contenere più informazioni, per produrre più copie che mai, ma comunichiamo sempre meno.
Questi sono i tempi del fast food e della digestione lenta, grandi uomini e piccoli caratteri, ricchi profitti e povere relazioni.
Questi sono i tempi di due redditi e più divorzi, case più belle ma famiglie distrutte.
Questi sono i tempi dei viaggi veloci, dei pannolini usa e getta, della moralità a perdere, delle relazioni di una notte, dei corpi sovrappeso e delle pillole che possono farti fare di tutto, dal rallegrarti al calmarti, all’ucciderti.
E’ un tempo in cui ci sono tante cose in vetrina e niente in magazzino.
Un tempo in cui la tecnologia può farti arrivare questa lettera, e in cui puoi scegliere di condividere queste considerazioni con altri, o di cancellarle.

Ricordati di spendere del tempo con i tuoi cari ora, perché non saranno con te per sempre.
Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal basso in soggezione, perché quella piccola persona presto crescerà e lascerà il tuo fianco.
Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a fianco, perché è l’unico tesoro che puoi dare con il cuore e non costa nulla.
Ricordati di dire “vi amo” ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo.
Un bacio e un abbraccio possono curare ferite che vengono dal profondo dell’anima.
Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti, perché un giorno quella persona non sarà più lì.
Dedica tempo all’amore, dedica tempo alla conversazione, e dedica tempo per condividere i pensieri preziosi della tua mente.

E RICORDA SEMPRE: la vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.

George Carlin

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Letteratura Tesoro

Le cose che ho imparato nella vita

attribuita a Paulo Coelho*

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:
Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà.
E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
Che le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
Che la pazienza richiede molta pratica.
Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.
Forse Dio vuole che incontriamo un pò di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre, ma tante volte guardiamo cosi a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che e stata aperta per noi.
La miglior specie d’amico e quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
E’ vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un’ora per piacergli, e una vita per imenticarlo.
Non cercare le apparenze, possono ingannare. Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perchè ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
Trova quello che fà sorridere il tuo cuore.
Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii cio che vuoi essere, perchè hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.
Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
Le piu felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
La felicità è ingannevole per quelli che piangono, quelli che fanno male, quelli che hanno provato, solo così possono apprezzare l’importanza delle persone che hanno toccato le loro vite.
L’amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un thè.
Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e tuoi dolori.
Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange.

Naturalmente, come tutte le catene, si conclude con l’invito a distribuirla:

Manda questo messaggio a coloro che significano qualcosa per te, a quelli che hanno toccato la tua vita in un modo o nell’altro, a quelli che ti fanno sorridere quando veramente ne hai bisogno, a quelli che ti fanno vedere il lato bello delle cose quando sei proprio giù, a quelli cui vuoi far sapere che apprezzi la loro amicizia. Se non lo fai, non ti preoccupare, non ti accadrà niente di male, perderai solo l’opportunità di rallegrare la giornata di qualcuno con questo messaggio.

 

*”Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te pianga.”
Il pensiero appartiene in realtà al poeta indiano Kabir (1398 – 1518); si veda, per esempio, questa pagina su Google Libri, oppure questa. Il testo Le cose che ho imparato nella vita, attribuito a Coelho e indicato spesso come fonte di tale citazione, sembrerebbe essere un falso; un testo anonimo simile, recuperato da Internet, è stato postato da Coelho nel suo blog.

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Buonumore Letteratura

sottigliezze dell’italiano

Un cortigiano: un uomo che vive a corte
Una cortigiana: una mignotta

Un massaggiatore: un Kinesiterapista
Una massaggiatrice: una mignotta

Un professionista: un uomo che conosce bene la sua professione
Una professionista: una mignotta

Un uomo di strada: un uomo duro
Una donna di strada: una mignotta

Un uomo senza morale: un politico
Una donna senza morale: una mignotta

Un uomo pubblico: un uomo famoso, in vista
Una donna pubblica: una mignotta

Un uomo facile: un uomo con il quale è facile vivere
Un a donna facile: una mignotta

Un intrattenitore: un uomo socievole, un affabulatore
Una intrattenitrice: una mignotta

Un adescatore: un uomo che coglie al volo persone e situazioni
Un’adescatrice: una mignotta

Un uomo molto disponibile: un uomo gentile
Una donna molto disponibile: una mignotta

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Letteratura Schio

L’Alfabeto Veneto

La lingua veneta è formata da diverse varianti, ognuna con proprie caratteristiche, ed il seguente alfabeto è stato sviluppato per consentirne la trascrizione. Non tutti i fonemi sono pronunciati in tutto il territorio, e alcune rappresentazioni grafiche sono ancora oggetto di dibattito. Alcuni simboli non sono presenti nei codici ASCII (per una versione completa si prega di scaricare i caratteri appositi (Venetica 1.0) e di visitare Veneto Arkìvio ), e questo alfabeto fa uso di diagrafi (due lettere assieme) per rappresentare certe pronuncie.

NOTA PRELIMINARE: Molti vocaboli usati come esempio non sono necessariamente presenti in tutte le varietà venete, e ci possono essere vocaboli differenti usati in altre zone per lo stesso significato.

A a [ come in italiano ] ava (ape) alocón (gufo) anguàna (strega) àspexe (serpente d’acqua) NOTA: Nel tipo ladino-veneto, questa vocale assume anche un secondo valore fonetico (â). Si prega di visitare il Vèneto Arkìvio per una discussione linguistica più dettagliata e per la corretta rappresentazione grafica.

B b [ come in italiano ] bólpe (volpe) brèspa (vespa) brincavóxe (microfono) bago£ón (giocherellone, estroverso) barukè£o (giovane contadino) baxùo (mortificato) baùco (stolto) béco (capra) bèco (becco) bisabòbo£e (tornanti) bòcia (fanciullo) brìncare (prendere) brónsa (brace) brónba (prugna) NOTA: In veneto, la lettera B è preceduta dalla consonante nasale N anziché M. Questo non avviene solo oggi, ma è anche documentato in testi antichi come caratteristica della lingua veneta. Per esempio, inbatunìo (intontito), oppure inbaosà (bavoso).

C c [ come in italiano ] ciòdo (chiodo) cìcara (tazzina) ciauscàre (parlare incomprensibilmente) céngio (roccia) ciò (esclamazione) ciòpa (pagnotta) ciupascóndare (nascondino) ciupegàre (masticare a bocca aperta) NOTA: La lettera C è comunemente usata per pronunciare anche la lettera K [come k in inglese kite]. E` invece importante fare una distinzione quando la C si trova a fine parola (molto comune nelle varianti venete settentrionali). Per esempio, pec (abete) è pronunciata come c in italiano cena, mentre pek (fornaio) si pronuncia come k in inglese kite. Nel Vèneto Arkìvio altri simboli sono usati per differenziare la pronuncia di fine parola.

Ç ç [ come tz in inglese Ritz ] çéola (cipolla) NOTA: Questa pronuncia storicamente presente nel Veneto sta poco a poco sparendo, e viene sostituita nella maggior parte dei casi dalla lettera S. Era comunque presente in molti testi antichi sin dal 1200 ed è ancor oggi pronunciata in alcuni varianti.

D d [ come in italiano ] diéxe (dieci) déo (dito) desavìo (insipido) dexgrafàre (snodare) dexmentegàre (dimenticare) dixdòto (diciotto) drénto (dentro) drugo (stolto) drìo (dietro) NOTA: A seconda del luogo, molte parole sono pronunciate in modo diverso, e in alcuni casi D viene sostituita invece dalla pronuncia interdentale DH (vedi sotto) oppure della X. Per esempio, danòcio invece di dhanòcio o xenòcio (ginocchio).

E e [ come in italiano ] endegàro or endeghèr (indice) èlira (edera) NOTA: E` molto importante ricordarsi, quando si scrive in veneto, di distinguere il più possibile tra le due varianti di questa vocale: è (aperta) ed é (chiusa). Per esempio: véro (vetro) e vèro (verità), oppure béco (capra) e bèco (becco).

F f [ come in italiano ] finfotàre (piagnucolare) fracàre (premere) frégo£a (bricciola) franfrìgo£a (tipo di bacca) frìxa (freccia)  frìto£a (frittella, checca) NOTA: In certe varianti quando la lettera F è seguita da una vocale, la pronuncia diventa aspirata. Vedi il diagrafo FH in fondo pagina.

G g [ come in italiano ] gajòfha (tasca) galón (coscia) gatàro (cancello) gatarìso£e o gatè£e (solletico) gavàso (cespuglio) gardéna (tordela, cesena, tipo di uccello) gunbio (gomito) gòmito (vomito) górna (grondaia) gòto (bicchiere) gréspe (rughe) gufo (gobbo) NOTA: La lettera G è anche comunemente usata per pronunciare come g in italiano gioia. Per esempio, giósa (goccia). Per distinguere tra la pronuncia gutturale e palatale, la G si pronuncia come gioia quando è seguita dalla I o dalla E, e come g in italiano gatto quando di fronte a consonanti o ad altre vocali. Vedi anche GH a fondo pagina. Alcuni scrittori preferiscono invece usare semplicemente la cosiddetta regola del jegejé: la G viene sempre pronunciata gutturalmente come in italiano gatto, mentre la J viene usata per la pronuncia palatale come in italiano gioia. Nella lingua veneta, però, la lettera J è anche usata per la pronuncia semiconsonantica come j in italiano Jacopo, e viene usata in vocaboli che alternano la pronuncia della J a seconda della varietà. Per esempio, la J in fhaméja (famiglia) e mèjo (meglio) può essere pronunciata sia come palatale sia come semiconsonante. Una terza alternativa è resa possibile grazie all’uso di caratteri speciali (occorre scaricare i fonts Venetica). Si prega di visitare il Vèneto Arkìvio per una discussione dettagliata di questo terzo approccio.

H h Questa lettera non viene pronunciata in Veneto, ed è usata solamente nei diagrafi: DH, FH, NH, TH (vedi a fondo pagina). . I i [ come in italiano ] istà (estate) infolponarse (soffocarsi) insìda (uscita) ìndese (endice – uovo finto) indormài (oramai) inxamò (di già) indomè (appena) inbolxemàre (infangare) infhià (gonfio) ingrisàrse (vergognarsi) ingrumare (accumulare) inmagarse (incantarsi) inoriàrse (confondersi) inpasà (otturare, frenare) inpisàre (accendere) intorco£à (attorcigliato) intrà (inoltre) ìspio (muschio) instéso (comunque, lo stesso) . J j [ come j in italiano Jacopo, o come j in inglese jockey ] jakéta (giacca) jóvene (giovane) jera(era) jeri(ieri)    judàre(aiutare) judìsio (giudizio) Jèxo£o (Jesolo) NOTA: Il valore della lettera J cambia a seconda delloscrittore. Perciò, nei vocaboli qui sopra riportati la J può essere letta come j in italiano Jacopo, o come j in inglese jockey. La lettera J è per questo anche chiamata “J libera” oppure “J veneta”, appunto per questa sua caratteristica di lasciare al lettore la libertà di leggere un vocabolo a seconda del proprio dialetto a prescindere dalla provenienza dello scrittore. Si prega di notare inoltre che in molte varianti venete al posto della J viene usata la lettera X o l’interdentale DH. Per esempio, jénte oppure xénte o dhénte (gente), e jornà£e oppure xornà£e (giornale).

K k [ as k in English kite ] kéca (gazza)  kèba (gabbia) kièto (silenzio) kipàre (piegare) kefàro (scarafaggio) kèserle (tipo di formaggio) kive (qui) kisa (coccolone) kistìnkene (castagna esiccata) kitàra (arnese per frustare il latte, strumento musicale) NOTA: La lettera K viene usata soprattutto di fronte a I ed E (invece di C), per distinguerla dal suono c come in italiano cena. L’uso della K non è solamente presente in vari documenti storici, ma è utile anche per evitare CH (usato solo in italiano), il quale potrebbe creare confusione tra i veneti immigrati in paesi di lingua inglese, francese, portoghese e spagnola. Per tutti gli altri casi non è definito quando usare la K invece della C (per esempio, karéga o caréga (sedia), e kustión o custión (questione)), e alcuni scrittori consigliano di usare sempre la K per c di cane, e di usare la C solo per c di cena (regola del jegejé). Nel Vèneto Arkìvio viene presentata un’altra alternativa che fa uso di caratteri speciali.

L l [ come in italiano ] lista (lista) làrexe (larice) lòxa (loggia) lòsa (fango sabbioso) luàme (letame) ludro (sporco) ludrón (asfalto) luja (scrofa) lujo (Luglio) luna (luna) NOTA: La lettera L è pronunciata in tutto il territorio veneto soprattutto quando a fine parola o vicina ad una consonante. Per esempio, moltón (montone), xlandrón (farabutto, vagabondo), xlaparón (vorace), balbo (balbuziente), baldrésca (impalcatura), el (il). Invece, quando fra due vocali, oppure ad inizio parola, la L è frequentemente sostituita dalla £ (vedi sotto), a seconda della variante. Per esempio, lu o £u (egli), lóngo o £óngo (lungo), stèla o stè£a (scheggia).

£ £ [ fonema parzialmente vocalizzato, simile a ll in francese mouillé ] £aca (gamba) £agùia (aquila) £aìn (scaltro) £atón (ottone) £avaóro (acquaio) £ekési (dolciumi) £énsa (hooligan) £evaró£a (piede di porco)   £igaóro (ramarro) £ispo (scivoloso) £ive (li) £òtara (scala – a pioli) NOTA: La lettera £ (vedi Vèneto Arkìvio per il simbolo ufficiale), conosciuta anche come “L veneta”, oppure come “L evanescente”, rappresenta una pronuncia unica al territorio veneto. Non si distingue solamente dalla L normale, ma assume anche in essa stessa delle leggere variazioni a seconda della zona. Per esempio, nella provincia veneziana diventa quasi una E, mentre nella zona pedemontana si avvicina di più alla L, e in alcune aree montagnose è raramente presente. L’uso di questa lettera è necessario per la lingua veneta per accomunare i vari dialetti. Senza di essa, scrittori da diverse province interpreterebbero questa stessa particolare pronuncia o con una E o con una L (a seconda della leggera varianza dialettale) sebbene entrambe queste lettere non rappresentino esattamente l’attuale pronuncia. Per esempio, góndo£a invece di góndola, gódoea o góndoa. Questa distinzione aiuta anche a non confondere certe parole (per esempio, se invece di scò£a (scuola), si scrivesse scóa, questa parola verrebbe confusa con scóa (scopa)). Bisogna inoltre ricordare che in alcune varianti la £ (l’evanescente) è veramente sostituita nella pronuncia da una E (in laguna) o da una L (nelle Dolomiti), ed è giusto in questi casi scrivere a seconda della propria peculiarità dialettale.

M m [ come in italiano ] mare (madre, mare) marcà (mercato) madhégo (fieno maggiatico) magàña (malattia)  maja (maglia) màntexa (mantice) mara (incubo, essere mostruoso) marangón (falegname) marè£a (stecca d’ombrello) marè£o (mucchio) marinè£e (tipo di cigliege) maròñe (mucchio di sassi, carboni bruciati) marón (castagna, imbroglio) marxemìn (furbastro) marte£àro (carabiniere) maruè£e (emorroidi) masìn (macellaio) masiéra (muro di sassi) mèdho (mezzo) melórde (code del frak) mojére (moglie) morécia (topolino) muxìna (salvadanaio) muso (asino) musolìn (moscerino) NOTA: La lettera M NON precede la B o la P in lingua veneta. Per esempio, exénpio (esempio), inprèstiti (prestiti) e anbra (ambra).

N n [ come in italiano ] nanarè£a (criceto) nasòpia (nasone) nevódo(nipote) ninàre (cantare la ninna nanna) ninte (niente) nodàro (notaio) nóxa (noce) NOTA: La lettera N precede sempre la B e la P. Per esempio, anpómo£a (lampone), bonbaxón (cotone), canpigo£àre(brulicare), ciónpo (zoppo).

Ñ ñ [ come gn in italiano gnomo ] ñaro (nido) ñanca (neanche) ñaér (diventare) ñàñara (febbre leggera) ñaño (sciocco) ñòco (gnocco) ñèl (agnello) NOTA: La rappresentazione grafica di questo suono non è stata ancora stabilita per la lingua veneta. Infatti, i seguenti diagrafi sono frequentemente preferiti alla lettera Ñ: GN, NH o NJ. Non ci sono differenze dialettali che giustifichino rappresentazioni grafiche diverse. Il dibattito riguardo che simbolo usare è ancora acceso, ma si basa soprattutto su preferenze personali.

O o [ come in italiano ] òbito (funerale) òcio (occhio) òfhio (floscio) òjo (olio) ónbrìa (ombra)    onfegàre (macchiare di unto) óngia (unghia) ónsa (oncia) ónxare (ungere) óngaro (ungherese) òrbo (cieco) NOTA: Come con la lettera E, è molto importante specificare, quando possibile, l’accento giusto. Per esempio, tò£e (tavole) e tó£e ([lei] prende), oppure ròso (gruppo) e róso (rosso) o tòco (pezzo) e tóco (tocco).

P p [ come in italiano ] pañùgo£o (batuffolo) pàndare (rivelare) pandò£o (biscotto, stupido) panpalùgo (calandra – tipo di uccello) pantasón (ciccione) pào (tacchino) papìna (sberla) papòta (guancia) pare (padre) pareciàre (preparare) parmédo (precoce) parsìmo£o (prezzemolo) pasto (molto) pate£ón (apertura anteriore dei pantaloni) patòfhia (debole) patùgo (fondo di bottiglia) pèca (orma) pèdho (peggio) pelandrón (fannullone) peñàta (pentola) peretàre (scrutare) pèrla (bacca selvatica) pèrsego (pesca) petàre (incollare, cadere) petenè£a (pignolo, fastidioso) petotàre (camminare velocemente) petufhàrse (azzuffarsi) pévare (pepe) piànperi (fiammiferi) piato£àre (perdere tempo) pirón (forchetta) peòcio (pidocchio) peocióxo (tirchio) pipión (piccione) pisacàn (dente di cane) pólde (pulce) po£ìto (OK) popà (papà) prèsia (fretta) puìna (ricotta) puliéro (puledro) puòto (pupazzo) putè£o (bambino) NOTA: Di nuovo, come riscontrato in numerosi documenti (antichi e più recenti) la lettera P è preceduta dalla lettera N invece della lettera M. Per esempio, ranpìn (uncino) and sanpòto£e (pantofole).

R r [ come in italiano ] raìxa (radice) ragañò£o (rompiscatole) ramenón (ruzzolone) ranpegàre (arrampicare) rasaóro (rasoio) rénte (vicino) rigolàre (rotolare) ronkexàre (russare) NOTA: La lettera R viene pronunciata nello stesso modo in tutto il Vèneto eccetto nel Veneziano dove è pronunciata come r in inglese more. Non c’è un bisogno concreto di rappresentare questo suono diversamente, dato che sostituisce sempre la R normale e perciò non c’è ragione di fare alcuna distinzione. Comunque, alcuni scrittori hanno sperimentato con il diagrafo RH, appunto per sottolineare la loro particolare pronuncia.

S s [ come ss in italiano asse ] sacañón (maldestro) salbanè£o (folletto) sanbè£o (zimbello) sangiùto (singhiozzo) sànto£o (padrino, suocero) saràda (Autunno) saràre (chiudere) sata (zampa) scaño (sgabello) scavesàre (romprere) scékenàre (sbocciare) skèi (soldi)   sciànta (un poco) sciàpo ( stormo, gruppo) scope£òto (schiaffo) scoraiàre (cadere per sovraccarico) scorlàre (scuotore) sculiéro (cucciaro) senpioldo (scemo) sfharesón (curioso) sórxe (topo) sparagàñe (costine di maiale) spesegàre (fare in fretta, darci dentro) spithigàre (pizzicare) sora£ake (lap-top) stèrke£e (sci) stofegàre (soffocare) NOTA: La lettera S è sempre pronunciata come ss in asse o come s in sole (dicesi “S sorda”). Alcuni preferiscono usare la S per s in asino (dicesi “S sonora”), e usare la doppia S per distinguere tra i due suoni. Questo metodo però, crea un paio di problemi. Primo, la lingua veneta non conosce le doppie consonanti. Secondo (e soprattutto), la lingua veneta è ricca di vocaboli che usano ambedue i suoni (s di sole e s di asino), ed è indispensabile distinguerli. Per esempio, la parola sixì£a (rondine) non può essere scritta sisìla, ssisìla, perché non chiara e non fedele all’attuale pronuncia. Certi scrittori hanno scelto di usare la lettera Z per rappresentare s di asino (S sonora). Purtroppo, la Z è già usata per rappresentare la z di zanzara presente in alcune varianti, e perciò la Z non può rappresentare anche la S sonora in una grafia comune a tutto il territorio. (Vedi anche lettera X). La lettera S è anche usata nel diagrafo SH ( come sc di scemo). Questa pronuncia è presente SOLO nel ladino-veneto, e non è presente nel resto del Veneto. Per esempio, shénta (sedile). Nel Vèneto Arkìvio viene illustrato il simbolo da usare con caratteri speciali. Nel alfabeto della lingua veneta, SH è scelto anziché SC, perché la combinazione di S e C è troppo comune nella lingua veneta per essere usata come diagrafo per un’altra pronuncia (per esempio: sciào (schiavo), sciòpo (fucile), scéto (autentico), scéve (siepe), sciàsaro (lurido), sciavìna (erpice), sciocàre (schioccare), sciona (anello)). Alcuni, per evitare confusione con il diagrafo italiano SC (stessa pronuncia di SH), usano S-C oppure S’C.

T t [ come in italiano ] taconàre (rattoppare) tanbràre (tuonare) téndare (accudire) tibiàre (raffreddare) trapè£o (oggetto inutile) NOTA: La lettera T viene anche usata nel diagrafo TH (vedi sotto).

U u [ come in italiano ] ùa (uva) urtàre (spingere) ùso (uscio) ùxo (usato/uso) . V v [ come in italiano ] varnìxa (vernice) végro (incolto) vènare (venerdì) vèrta (Primavera) . X x [as z in English zone ] xbarlucàre (lampeggiare) xbéso£a (mento) xbétega (pettegolo/a) xbiansàre (annaffiare) xbitaràre (spruzzare) xbramoxà (stanco) xbrindo£ón (gironzolone) xbrisjàre (scivolare) xgàparo (sputo) xgiantìso (lampo) xgiónfo (pieno) xñaròco (muco) xgrànfho (crampo) xgrìxo£e (brividi) xlamegón (trasandato) xlangorìo (stomaco vuoto) xlèpa (sberla, grossa fetta) xmarìo (scolorito) xmorsàre (spegnere) xòbia (Giovedì) xvanpolàrse (prendere aria, ricrearsi) NOTA: è ampiamente accettato che la lingua veneta necessita di una distinzione grafica tra la S (S sorda) (come s di sole) e la X (S sonora) (come s di asino). Ci sono troppi vocaboli che richiedono questa distinzione. Per esempio, rusàre (strusciare) e ruxàre (fare le fusa), sa ([egli] sa) e xa (già), sìxo£a (forbice) e xìxo£a (freddo pungente), sugàre (asciugare) e xugàre (giocare), sara (chiudi) e xara (caraffa). C’è comunque chi non adotta la lettera X per rappresentare questo suono (non volendo creare confusione con il valore che assume in altre lingue: “ks”), e più di uno scrittore adotta invece la Z. La lettera X è comunque la rappresentazione grafica preferita, non solo per il fatto che la Z è già usata per un altro suono (e di conseguenza creerebbe confusione in un alfabeto comune a tutto il territorio veneto), ma anche per il fatto che la X è storicamente sempre stata usata in Vèneto per rappresentare la S sonora, e per secoli viene riscontrata in praticamente tutti i testi veneti. Alcuni suggeriscono di sostituire la X con la S, quando prima di un’altra consonante. Il motivo sarebbe che bisognerebbe sapere sempre come pronunciarla (sonora di fronte a B, D, G, L, M, N, Ñ, R, V; e sorda di fronte a C, F, P, T). Ci sono però alcune eccezzioni. Ad esempio: slòpole (luppolo) e xlòso (marcio, rotto). Per ragioni di semplicità e chiarezza, si raccomanda di distinguere sempre fra la X e la S. La lettera X viene anche usata nel diagrafo XH (come j in Francese jardin ). Come per SH, questa pronuncia è presente SOLO nel ladino- veneto. Per esempio, xhal (gallo).Vedi anche Vèneto Arkìvio per la rappresentazione grafica ufficiale.

Z z [ come in italiano “zanzara”] NOTA: Il suono della Z è presente nel veneto parlato a causa delle parole italianizzate. Ad ogni modo, nel dialetto urbano di Vittorio Vèneto, e forse in alcune altre varianti, questa pronuncia sembra essere stata presente prima dell’annessione veneta all’Italia. Per rappresentare le peculiarità culturali di ogni varietà veneta, questa lettera viene inclusa nell’ Alfabeto della Lingua Veneta. In questi dialetti, la Z sostituisce di solito la X (o il diagrafo DH) come in zenòcio = xenòcio = dhanòcio (ginocchio).

DIAGRAFI

DH [ simile (ma non uguale!) a th in inglese the ] dhàlo (giallo)   dhermàn (germano) dhó (giù) dhandhìvi (gengive) Dhòrdhi (Giorgio) NOTA: Una volta sembra che questa interdentale fosse presente in tutto il territorio veneto, ma oggigiorno sta lentamente sparendo. Il diagrafo DH era presente in testi veneti sin dal 1200, ed è tuttora ancora pronunciato in diverse varianti venete (specialmente nella zona alpina e pedemontana). Nelle altre zone viene frequentemente sostituito da X (lèdhare = lèxare (leggere), e mèdho = mèxo (mezzo)), ed in alcuni casi dalla D (frédha = freda (freddo)). Vedi anche Vèneto Arkìvio per la rappresentazione grafica alternativa.

FH [ fra la phi greca e la ph tedesca, un po’ aspirata come h in spagnolo humera ] fhabiòco (stupido) fhalìva (fiocco di neve) fhémena (moglie) fhià (un po’) fhìnfarli (tipo di fungo) fhòdha (moda, trend) fhòja (foglia) fhóra (fuori) fhorèsto (straniero, estero) fhormàjo (formaggio) fhursi (forse)  NOTA: Come con il DH, questa pronuncia sta lentamente scomparendo, e viene sostituita dalla F. È comunque ancora presente, ed è riportata nell’alfabeto della lingua veneta perché si alterna all’interno dello stessa variante con la F normale, ed è perciò necessario distinguere graficamente le due pronunce. È stato anche proposto di rappresentare questa pronuncia con una semplice H.

GH [ come g in italiano ghiro ] NOTA: Questo non è un diagrafo, perchè viene usato solo di fronte alla E e alla I per pronunciare la G gutturale anziché la G palatale. (Per esempio, gheto (ghetto), e siccome era raramente presente nei testi storici, alcuni suggeriscono di eliminarlo completamente. Per gli autori che scelgono di usare la G solo per il suono gutturale, e la J solo per il suono palatale (o semiconsonantico), il GH è superfluo (regola del jegejé). Vedi anche Vèneto Arkìvio per altre alternative.

GN o NH o NJ Questi sono rappresentazioni grafiche alternative alla Ñ. TH [ simile (ma non uguale!) a th in inglese thin ] thanca (sinistra) thìncoe (cinque) NOTA: Come il DH, anche questa interdentale veneta è caratteristica del territorio (come documentato in vari testi storici) ma è al giorno d’oggi presente solo in alcune zone. Nel resto del Veneto è prevalentemente sostituita dalla S. È stato anche suggerito di usare il diagrafo ZH. Vedi anche Vèneto Arkìvio per un’altra rappresentazione grafica.

L’Alfabeto della Lingua Veneta è stato sviluppato dopo numerose ricerche su tutte le varianti di lingua veneta. Si basa sulla Grafia Veneta Unitaria pubblicata dalla Regione Veneto, ed è stato adattato per evitare terminologia e simboli lingustici, e per semplificare l’uso del veneto sull’Internet.

Alberto Frigo

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Letteratura Tesoro

Quien muere

Muere lentamente
quien se transforma en esclavo del hábito,
repitiendo todos los días los mismos trayectos,
quien no cambia de marca.
No arriesga vestir un color nuevo y no le habla a quien no conoce.
Muere lentamente
quien hace de la televisión su gurú.
Muere lentamente
quien evita una pasión,
quien prefiere el negro sobre blanco
y los puntos sobre las “íes” a un remolino de emociones,
justamente las que rescatan el brillo de los ojos,
sonrisas de los bostezos,
corazones a los tropiezos y sentimientos.
Muere lentamente
quien no voltea la mesa cuando está infeliz en el trabajo,
quien no arriesga lo cierto por lo incierto para ir detrás de un sueño,
quien no se permite por lo menos una vez en la vida,
huir de los consejos sensatos.
Muere lentamente
quien no viaja,
quien no lee,
quien no oye música,
quien no encuentra gracia en si mismo.
Muere lentamente
quien destruye su amor propio,
quien no se deja ayudar.
Muere lentamente,
quien pasa los días quejándose de su mala suerte
o de la lluvia incesante.
Muere lentamente,
quien abandona un proyecto antes de iniciarlo,
no preguntando de un asunto que desconoce o
no respondiendo cuando le indagan sobre algo que sabe.

Evitemos la muerte en suaves cuotas,
recordando siempre que estar vivo exige un esfuerzo mucho mayor
que el simple hecho de respirar.
Solamente la ardiente paciencia hará que conquistemos
una espléndida felicidad.

Martha Medeiros

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Letteratura Tesoro

Ode alla vita

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle ‘i’
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Ampiamente attribuita a Pablo Neruda, questa poesia è invece di Martha Medeiros

Testo originale

fonti: http://diarioperinaviganti.blogspot.com/2007/01/lo-diceva-neruda.html
http://garda2o.wordpress.com/2007/08/26/lentamente-e-di-martha-medeiros/
http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/politica/crisi-governo-2/poesia-neruda-no/poesia-neruda-no.html

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Buonumore Letteratura Tesoro

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere – Giacomo Leopardi

Vend. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Pass. Almanacchi per l’anno nuovo?
Vend. Sì signore.
Pass. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Vend. O illustrissimo, sì, certo.
Pass. Come quest’anno passato?
Vend. Più più assai.
Pass. Come quello di là?
Vend. Più più, illustrissimo.
Pass. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Vend. Signor no, non mi piacerebbe.
Paas. Quanti anni nuovi sono passati dacchè voi vendete almanacchi?
Vend. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Pass. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Vend. Io? Non saprei.
Pass. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Vend. No in verità, illustrissimo.
Pass. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Vend. Cotesto si sa.
Pass. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Vend. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Pass. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta nè più nè meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Vend. Cotesto non vorrei.
Pass. Oh che altra vita vorreste rifare? La vita c’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Vend. Lo credo cotesto.
Pass. Nè anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Vend. Signor no davvero, non tornerei.
Pass. Oh che vita vorreste voi dunque?
Vend. Vorrei una vita così come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Pass. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Vend. Appunto.
Pass. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascono è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato che il bene; se a patto di riavere la vita di prima con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Vend. Speriamo.
Pass. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Vend. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Pass. Ecco trenta soldi.
Vend. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Giacomo Leopardi
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